Atelier, la terrazza sul desiderio

“Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare.”. No, per me il tempo di migrare è luglio, quando prendo chitarra e bagagli e mi trasferisco per qualche giorno a Bertinoro dove il Centro di Poesia Contemporanea di Bologna organizza L’Atelier delle Arti e degli Insegnanti. Quest’anno mi porto anche moglie, figlia e qualche amico.

L’Atelier, il posto ideale per chi vuole approfondire il proprio talento in campo artistico e per chi, pensando di non averne uno suo, sente di non  poter fare a meno di quello degli altri.

Io appartengo sicuramente a questa seconda categoria, quella che nella locandina è chiamata “chiunque sia interessato”.

Da alcuni anni la nostra dimora (laboratorio, bottega, roccaforte, monastero, tutte definizioni che vanno bene perché si tratta di un’esperienza poliedrica) pianta le tende in quel bellissimo borgo antico che dalla sua rocca regala un affaccio mozzafiato che percorre tutta la Romagna. Unico confine la linea del mare.

Sono giorni di lavoro fatti di laboratori e di conversazioni con chi considera l’arte lo strumento per mettere a fuoco la vita, nel senso di capirla e di incendiarla, che poi alla fine è lo stesso.

Un’esperienza transgenerazionale: ci sono i ragazzi delle superiori, quelli dell’università, gente che lavora e gente ormai oltre la soglia della pensione; studenti, insegnanti, informatici, bancari; mondi diversi che per quattro giorni convivono costituendo un unico corpo. Come è possibile questo, mi sono domandato già il primo anno? Evidentemente, in un contesto sociale che divide con precisione sempre maggiore i giovani dai meno giovani, i ragazzi, su instagram, da quelli di mezza età, su facebook, quelli col posto fisso dai precari, gli artisti dagli impiegati, ciò che mette insieme questa strana truppa sfugge ad una catalogazione anagrafica o occupazionale, schematizzazioni superficiali e riduttive. Questo clan imprevisto nasce piuttosto dal mettere al centro un interesse comune: il desiderio di andare a fondo di un bene che ci siamo trovati addosso, come talento e come passione; un bene personale in grado di aggregare una diversità di soggetti che di anno in anno si rinnova.

Un desiderio costituisce il minimo comune denominatore di una socialità nuova.

Desiderio di capire chi si è, quale sia la propria arte confrontandola con quella degli altri. Desiderio di comprendere come questa possa essere aiutata ad esprimersi e a diventare un movimento generativo per il mondo. Un’esperienza per tutti. Così accade, ad esempio, che anche il sottoscritto, capitato lì come un “chiunque sia interessato” qualunque, si trovi ad offrire il suo piccolo contributo accompagnando con la chitarra gli amici fino al fondo della notte (ma allora c’è ancora gente a cui piace cantare e cantare insieme?!)

L’Atelier va bene per tutti, purché si sia disposti a mettersi in gioco rispetto al proprio interesse. E poi, questa intergenerazionalità, che è una delle ultime esperienze popolari rimaste su questo pianeta, ha il valore di farti riscoprire come sia indispensabile stare insieme a chi, sulla strada, è più avanti o più indietro di te: perché i giovani servono per ricordare a chi non lo è più che la giovinezza è l’unico orizzonte di un cuore vivo e gli adulti, quelli che lo hanno scoperto, servono per testimoniare ai ragazzi che, anche veleggiando verso gli enta, gli anta e poi gli anta ancora, è possibile preservare quella gioia iniziale che spalanca all’infinito, come fa la terrazza di Bertinoro, che precipita gli occhi in quel mare là sotto che non conosce tramonto.

Erythrina va all’Atelier per il desiderio di affacciarsi ancora.

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