Artsakh: silenzio, soldi e potere

Il Corridoio di Lachin è una strada – l’unica – che collega la regione autonoma del Nagorno-Karabakh (Artsakh, come la chiamano gli armeni) con l’Armenia da cui è stato staccato, pezzo dopo pezzo, in seguito alle aggressioni dell’Azerbaijan. Quel breve tratto di strada, un cordone ombelicale di cinque chilometri, nei giorni prima di Natale è stato interrotto da manifestazioni ambientaliste azere. Quella del Corridoio di Lachin è una cosa che non tutti sanno.

Così come non tutti sanno che verso l’Armenia, e in particolare verso l’Artsakh, è in corso una spietata campagna di conquista da parte dell’Azerbaijan che vuole cancellare ogni traccia di presenza storica, artistica, religiosa, figuriamoci quella umana, del popolo armeno. Dalla guerra del 2020 la situazione è precipitata drasticamente. Perché nel 2020 nel Nagorno-Karabakh c’è stata una guerra, e anche questo non tutti lo sanno.

In realtà, più che di manifestazione per l’ambiente, quella in corso nel Corridoio di Lachin è un’operazione militare che ha isolato l’intero Artsakh ponendo sotto assedio le 120.000 persone che vi abitano. La situazione è molto grave, perché bloccando il Corridoio, i manifestanti azeri hanno interrotto i rifornimenti di cibo, di medicine e il transito di persone dall’Armenia. Così da due settimane mancano i generi di prima necessità e non è difficile immaginare che gli armeni del Nagorno, in questo modo, possano resistere ancora per poco; e quand’anche l’assedio dovesse finire, c’è il timore che, continuamente minacciate, stremate dai continui attacchi e vessate in vario modo dal regime di Baku, le persone possano lasciare le proprie case andando ad allungare le fila di coloro che, per sopravvivere, sono costretti a scegliere l’esilio. Ma tutto questo, aprendo giornali e social, non si viene a sapere.

Nella capitale dell’Artsakh poi, a Stepanakert, c’è una scuola armeno-italiana, intitolata alla scrittrice Antonia Arslan, una scuola dove studiano più di 600 bambini e ragazzi di scuole di ogni ordine e grado; è una scuola che vive anche dello scambio e dell’amicizia con alcune scuole italiane. Anche loro si trovano al centro del disastro umanitario che si sta consumando in queste ore, mentre l’attenzione delle nostre “tiepide case”, come richiamato dall’Appello per gli Armeni a firma di Antonia Arslan e Vittorio Robiati Bendaud qualche giorno fa, è tutta protesa ad altro. “Tiepide case”, perché tiepido è chi non prende posizione; ma “tiepide” anche perché riscaldate con il gas che proviene – guarda caso – proprio dall’Azerbaijan, che di quel tesoro è il maggiore fornitore del nostro Paese.

E allora, a pensare al fatto di non sapere nulla del Corridoio di Lachin, della separazione forzata dell’Artsakh dall’Armenia, della campagna di conquista a cui gli armeni continuano ad essere sottoposti anno dopo anno, decennio dopo decennio, al fatto che un Paese impunemente trasmette video di donne torturate e mutilate, che un Paese ha costruito un parco-museo di guerra per umiliare gli armeni dopo la terribile guerra del 2020, al fatto che non troviamo mai nei canali di informazione notizie al riguardo, viene il sospetto che non si tratti solo di una svista, che non sia un semplice errore di omissione se ogni qual volta che si fa l’elenco delle guerre in giro per il mondo non si cita mai quella del Nagorno–Karabakh. Cresce, piuttosto, la certezza che abbiamo tutti un’enorme responsabilità: quella di sottrarci al gioco di ombre e di oscure presenze che, oggi come ieri, fanno parlare dove si dovrebbe tacere e fanno tacere laddove si dovrebbe parlare.  E di invocare con forza la pace per tutti i popoli, incluso quello armeno. Tutto il resto è soldi e potere.

Alessandro Vergni

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