Il dovere di scegliere

Antonia Arslan, scrittrice, saggista, traduttrice, di origine armena, già professoressa di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Padova (tra i suoi libri La masseria delle Allodole e La strada di Smirne) e Siobhan Nash-Marshall, titolare della Mary T. Clark Chair of Christian Philosophy al Manhattanville College di New York, autrice di libri e articoli accademici di filosofia teoretica (come il fondamentale testo su Severino Boezio). Le incontro in un pomeriggio a Ferrara in occasione di un festival in cui si parla di giovani, di amicizia, di libertà, di fede. Rimango colpito dai loro interventi e dal loro rapporto che emerge man mano che si sviluppa la discussione. Penso che sarebbe bello incontrarle ancora per approfondire i temi che hanno trattato, perché si tratta di questioni che riguardano tutti. Ci diamo appuntamento a Padova. Quello che segue è il resoconto della nostra conversazione.

Al festival di Ferrara avete aperto il vostro intervento con questa frase: «Ai giovani oggi si offrono molte scelte, ma non i criteri per fare una scelta». È un problema tipico del nostro tempo o è una questione più articolata?

SIOBHAN NASH-MARSHALL : Dobbiamo considerare innanzitutto che la situazione che ci troviamo dinnanzi è l’esito di moltissime generazioni di intellettuali che hanno, in modo sempre maggiore, rifiutato il mondo concreto. E quando si offrono teorie senza partire dal mondo nella sua concretezza, ci si smarrisce, perché non si hanno più i criteri per distinguere tra teoria e teoria dal momento che il reale viene tralasciato. Per intendersi, pensiamo alla scuola: una volta c’erano certe regole che dovevamo imparare a memoria. Potevano essere giuste o sbagliate, ma la tavola pitagorica a 7 anni dovevi conoscerla. Avevamo esami da sostenere e se non li avessimo passati non avremmo potuto proseguire negli studi. Oggi, invece, tutto questo è stato buttato fuori dalla finestra. Il ragazzo non sa più niente a memoria, ci sono sempre meno esami e, peggio ancora, non gli vengono più offerti criteri di giudizio; al contrario gli viene detto di fondare lui stesso i suoi criteri interni. Fare una scelta, però, implica scegliere una cosa piuttosto che un’altra, per certi motivi e non per altri. Senza apprendere determinate categorie di base la mente straripa, vacilla e non può quindi nemmeno scegliere. Se lo fa lo fa solo sulla base dell’emotività.

ANTONIA ARSLAN : In effetti gli obblighi che si davano a un bambino erano lì perché lui li potesse superare; non averli significa trovarsi nel vuoto. Abbiamo citato le tabelline, ma anche in altri ambiti, come in certe modalità di relazionarsi con gli altri; c’erano senza dubbio dei metodi impositivi, però potevi formare il tuo carattere anche lottando contro di essi. Non avere nessuna recinzione contro cui combattere invece fa sì che tu ti senta impoverito e disorientato. Dov’è oggi la gioia di aver passato un esame o di essersi confrontati con qualcosa di esterno? Dove è la soddisfazione di dimostrare che si sa qualcosa, che si è progredito? O a volte, perché no, perfino l’umiliazione di essere stati sconfitti e la consolazione che qualcuno ti offre o che ti devi dare tu? Che tipo di pedagogia per la crescita proponiamo oggi? Quindi anche il tentativo di rimuovere l’esperienza del limite, fare i conti con la quale, non ce lo possiamo nascondere, è sempre doloroso. Ai giovani viene però spesso promesso che se vorranno, potranno. Come siamo arrivati a questo punto?

SIOBHAN NASH-MARSHALL : Riprendiamo l’aspetto storico–filosofico. Dobbiamo pensare che nel 1600 nella cultura occidentale c’è stata una profonda frattura. Affermando che occorreva ricominciare tutto da capo, Cartesio ha buttato fuori la tradizione e ha incanalato tutto il pensiero su una strada interioristica e anticoncreta. Ha innanzitutto sostenuto che le sensazioni e il contatto diretto tra individui fossero impossibili; poi che il mondo materiale fosse privo di valore intrinseco.

ANTONIA ARSLAN : Queste due basi di pensiero hanno in seguito portato a infinite deviazioni, l’ultima delle quali è proprio quella di cui stiamo parlando ora: non c’è un limite alla fantasia. La mancanza di distinzione tra ciò che è reale e ciò che è un gioco ne è un esempio. Perché prima ti fidavi delle tue percezioni e non ti saresti mai sognato, andando al cinema a vedere Bambi, di essere un capriolo o che un capriolo non odorasse di animale. Vediamo questa deriva anche nel modo in cui alcuni genitori cercano di preservare dalla realtà i propri bambini, che vengono così iper-protetti dall’impatto con la concretezza e l’alterità del mondo.

SIOBHAN NASH-MARSHALL : È un rifiuto della concretezza che si rintraccia anche nell’idealismo dell’Ottocento, nel pensiero di Sartre, nei postmodernisti, in Nietzsche, in Schopenhauer, in Hegel. C’è una linea diretta in questo rifiuto sempre più forte ed espresso del mondo così com’è. A partire da Cartesio, dicevamo, salta il rapporto con la realtà che diventa sempre più fragile e sotto attacco, perché l’oggetto della ricerca diventa ciò che voglio io anziché ciò che esiste. Cosa sia il vero conoscere invece lo dice in modo straordinario san Tommaso d’Aquino Discursus rationis incipit ab intellectu et terminatur ad intellectum («il ragionamento comincia e termina nel cogliere ciò che sta in una cosa»), cioè: ragioniamo per riuscire a ricevere di più la realtà. Questo è lo scopo del nostro pensare: avere rapporto con la realtà. La visione beatifica non è ragionare, ma ricevere. Per Tommaso, così come per Aristotele e Platone, il fine non è definire il reale, ma riceverlo.

ANTONIA ARSLAN : Racconto un aneddoto della mia famiglia che può essere di aiuto. Mio fratello da bambino rimase colpito dalla poliomielite. Si salvò, ma perse l’uso di una gamba. Ci diceva: ditemi che sono zoppo, non che sono diversamente abile. Il dato della realtà era la condizione che lo rendeva differente dai fratelli. E l’uguaglianza con i miei fratelli si esercitava nel fatto che quando litigavano e volevano darsele, come spesso i maschi di quell’età fanno, si mettevano tutti dentro la macchina e lì, da seduti, litigavano. La concretezza stava nel fatto che non poteva litigare con i fratelli fingendo di non avere quel problema, e allora insieme cercavano una nuova situazione di uguaglianza.

Vi domando allora: può, un ragazzo, accettare di vivere un’ingiustizia come questa di una disuguaglianza?

SIOBHAN NASH-MARSHALL : La giustizia è una questione distributiva, Non ha a che fare né con qualità, né con quantità, ma con la relazione. Se dico sono bianca, questa è una qualità. Ma uguaglianza, giustizia, non sono qualità. L’uguaglianza ha a che fare con un paragone, non è qualcosa di intrinseco a te o a me. Così la giustizia. Sono in realtà concetti molto astratti, perché da un punto di vista assoluto non esistono.

E l’uguaglianza davanti a Dio?

SIOBHAN NASH-MARSHALL : Noi diventiamo uguali per il rapporto personale che abbiamo con Gesù, laddove però il mio rapporto con lui è il mio, e il tuo è il tuo, e non sono uguali tra loro. Ciascuno di noi è figlio, ma come siamo figli non è uguale. Questa è l’altra grande tentazione del pensiero moderno, il profondo rifiuto della diversità. Dobbiamo essere tutti uguali, indistinti; invece, Dio ha creato te perché sei tu. Non ha creato astrattamente la razza umana. Si diletta della nostra diversità. Pensiamo alla Chiesa cattolica, ha al suo interno 24 riti distinti ed essere cattolici non significa essere tutti uguali; eppure, ciascuno di noi crede al dogma e vive il suo rapporto personale con Dio. Questo ha un risvolto anche in campo educativo: nel rapporto con i ragazzi occorre infatti dare una responsabilità personale a ognuno. Usa il tuo cervello e le tue doti, perché sono dati a te e tu sei unico. Sembra tuttavia che uguaglianza, giustizia, possibilità siano spesso sottoposte al giogo della contraddizione.

SIOBHAN NASH-MARSHALL : Ma la contraddizione esiste solo sulla carta, non nella realtà. Il grande problema del pensiero moderno e contemporaneo occidentale è che non si ammette che un fatto concreto possa contraddire un’idea astratta. La teoria prevale sul fatto e sull’esperienza. Basta guardare al secolo delle ideologie totalitarie per le quali ciò che non rientrava nella teoria è stato cancellato. Nel momento in cui buttiamo via i fatti, abbiamo buttato fuori la storia. Oggi si dice frequentemente “questa è la versione della storia” perché il mondo concreto non ha più valore intrinseco. Per questo il pensiero cattolico ha tutte le armi per risalire da questa china, perché quella cattolica è l’unica fede basata su dei fatti: storicamente è esistito un uomo chiamato Gesù, Gesù è figlio di Maria, che è figlia di Gioacchino e Anna… sono fatti. E io so che l’unico modo per trasmettere la nostra fede è andare sul concreto. Perciò il miglior servizio che uno può fare alla propria fede è viverla e mostrarla anziché parlarne. I ragazzi se ne innamorano perché vedono una persona non che ne parla, ma che la vive. È un fatto. È la realtà che misura la logica e non il contrario.

Come si lega a tutto ciò il tema della libertà, categoria centrale del nostro tempo, continuamente proposta come l’essere svincolati da qualunque tipo di legame e da ogni forma di appartenenza?

SIOBHAN NASH-MARSHALL : Si è liberi per uno scopo, non liberi da. I ragazzi questo lo capiscono bene. Se devo scrivere un endecasillabo devo esercitarmi molto prima di arrivare a essere totalmente libero di farlo. Le regole non sono antitetiche alla libertà, ma sono necessarie affinché io possa essere libero di agire.

ANTONIA ARSLAN : E poi la questione della libertà è spesso mal posta, perché nella vita nessuno di noi è assolutamente libero di fare quello che gli passa per la mente. Altrimenti potrei decidere di non dovere mangiare più, ad esempio. Al bambino di due anni tu devi insegnare a fare delle cose o non riuscirebbe più a fare niente. E sarà tanto più libero quanto più, assumendo quegli insegnamenti, riuscirà a fare qualcosa.

SIOBHAN NASH-MARSHALL : Per sant’Agostino la libertà è la perfezione della volontà. Non sono cioè libero in quanto posso volere, ma lo sono nella misura in cui posso conseguire un obiettivo. Questo permette di rispondere al bisogno dei ragazzi che è quello di fare una cosa e di farla bene. Così come dovremmo tornare a insegnare ai ragazzi che ogni scelta, pur libera, porta con sé delle conseguenze.

Nel venire a trovarvi pensavo che una delle cose che mi ha sin da subito colpito incontrandovi è la vostra amicizia. Vorrei concludere la nostra chiacchierata, allora, con questa domanda: l’amicizia è un antidoto al nichilismo?

ANTONIA ARSLAN : L’amicizia è un antidoto fondamentale al nichilismo, assolutamente sì. Non solo da ragazzi, ma a qualunque età. Penso ai tanti amici che in questi anni mi hanno lasciato e dei quali sento la mancanza, a partire da mio marito Paolo che per me è stato innanzitutto un amico. La responsabilità dei genitori, allora, sta proprio nell’aiutare i figli a individuare e coltivare quelle amicizie che nella vita si dimostrino vere.

di Alessandro Vergni – Articolo pubblicato su L’Osservatore Romano del 18 ottobre 2021

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